Il negazionismo come gaslighting di Stato

Sara C. Santoriello
6 min readMay 4, 2024

Esiste una forma di violenza psicologica che consiste nell’affievolire la percezione. Letteralmente il “gaslighting” è una pratica di rimozione del ricordo e offuscamento della memoria dell’altrə per scopi manipolativi volti a generare insicurezza sul presente. Cosa succede se chi ricopre una posizione di potere la esercita su larga scala?

Scena da La Zona di Interesse

Il termine deriva dall’opera teatrale “Gaslight” (1938), diretta al cinema prima da Thorold Dickinson (1940), poi da George Cukor (1944), e arrivata in Italia con il titolo “Angoscia”. Ambientata in epoca vittoriana, la vicenda coinvolge i coniugi Paula, aspirante soprano, e Gregory, pianista. Dal colpo di fulmine in Italia al repentino matrimonio e rientro a Londra, la personalità di lui si disvela quasi impercettibile, causando il logoramento di lei (la scena “You think I’m insane”). Prima delle riprese, Ingrid Bergman si recò in un centro di igiene mentale per capire come interpretare in maniera convincente la parte, grazie a cui vinse il Premio Oscar e il Golden Globe nel 1945.

Nel film, il marito affievolisce l’intensità della lampada a gas per poi negare di averlo fatto. È una tecnica lenta che si interseca con il rapporto fiduciario esistente. Il carnefice fa credere alla vittima di essere colpevole dei danni emotivi che prova, mostrandosi al contempo compassionevole e disposto al dialogo, su cui è conscio di avere un grande ascendente. Il gaslighter di solito si comporta così:

  • Mente con atteggiamento serio o nega di aver detto qualcosa
  • Usa i punti deboli dell’altrə per minare le basi della sua percezione
  • Decanta promesse a cui non faranno seguito azioni
  • Si serve dei congiunti per isolare l’altrə e costruisce immaginari funzionali alla sua narrazione
  • Ripete con continuità i tratti manipolativi, innescando un fraintedimento involontario.

Chi subisce il suo operato abbassa gli standard relazionali, sviluppando una dipendenza affettiva che può condurre al plagio, ovvero al “lavaggio del cervello” (di cui la più famosa “sindrome di Stoccolma” è derivazione). Danila Giancipoli su ilSole24Ore (Alley Oop) l’ha tradotto con “asservimento e “schiavitù percettiva”, includendolo negli schemi della violenza di genere — e può essere causato dal mansplaining, aggiungerei.

Il gaslighting può manifestarsi anche al di fuori della relazione tra due persone. Nel n°806 di Cahiers du cinéma (febbraio 2024), Alice Leroy sostiene che l’ampio raggio entro cui può estendersi travalica le mura domestiche o gli ambienti di lavoro; intravede, piuttosto, tratti ereditari in alcuni personaggi politici: Donald Trump, definito “campione d’iperbole e manipolazione semantica”, compare nelle pubblicazioni di Robin Stern (2018) sull’argomento, d’ispirazione per le storie di Euphoria (2019) e Maid (2021). Partendo dalla recensione del libro di Hélène Frappat “Le Gaslighting ou l’Art de faire taire les femmes” (2023), che propone una genealogia femminista del termine, l’autrice individua in Hannah Arendt la teorica che per prima ha colto, senza che vi fosse premeditazione, il passaggio dalla sfera privata alla sfera pubblica della storia e della politica, alla radice del negazionismo. «Il y a du gaslighting aujourd’hui dans la langue de Giorgia Meloni comme hier dans celle d’Hitler» — scrive Leroy — e spiega che questo è il motivo per cui Frappat si è interessata al contesto storico di quel film e all’importanza dei “testimoni” nel confermare gli eventi.

Ne La Zona di Interesse (2023), Rudolf Höß si volta improvvisamente in un corridoio vuoto e sente l’eco lontano dellə addettə alla pulizia di Auschwitz che nel tempo presente si prendono cura della memoria, spolverano i forni, rimuovono gli aloni dai vetri e riassettano l’ambiente museale per accogliere i turisti. È una scena disturbante, di cui certamente non esiste un’unica interpretazione, tuttavia mi sembra legata alla scelta di adoperare le immagini girate con camera termica. Su The Guardian, il regista Jonathan Glazer racconta un retroscena: l’incontro con Alexandria, una donna di 90 anni che aveva contribuito alla resistenza polacca quando aveva 12 anni, raggiungendo il campo in bici (originale sul set, come i suoi abiti) per lasciare le mele. «Quel piccolo atto di resistenza, l’atto semplice e quasi sacro di lasciare il cibo, è fondamentale perché è l’unico punto di luce […] Mi sembrava impossibile mostrare la totale oscurità, così ho cercato la luce da qualche parte e l’ho trovata in lei. Lei è la forza del bene» — dice Glazer. Il male sa essere banale, ma il bene è un atto di coraggio di cui dobbiamo conservare la memoria.

Scena girata con la camera termica in La Zona di Interesse

In occasione del 25 aprile c’è stato un gran rumore. Il romanticismo con cui si enfatizza la nostalgia è costruzione e mistificazione di un passato distorto che omette e revisiona i crimini contro l’umanità ideologicamente giustificati dal nazifascismo. Dinanzi al negazionismo istituzionalizzato c’è bisogno di una riaffermazione della storia e della memoria su cui è stata costruita la Repubblica, con l’antifascismo come valore fondante della Costituzione, e della forza del “no” come espressione pura della contrapposizione. L’antifascismo è un obbligo morale, come dice Articolo21. «Non mi venite a dire che in Italia non c’è stata una dittatura comunista» — ha detto il ministro della Cultura Sangiuliano. No, non c’è stata. E il lavorio di stravolgimento della percezione è incessante. Alcuni esempi di articoli pubblicati prima e dopo il 25 aprile:

Leggo su Treccani che Elena Stancanelli ha spiegato il gaslighting ricorrendo a un esempio: «È quella pratica per cui tu scoppi a ridere quando ti dicono che è la nipote di Mubarak, ma poiché una schiera compatta lo afferma con sicurezza e ripetutamente, tutti cominciano pian piano a fissarti con imbarazzo e tu smetti di ridere, poi taci e alla fine ti convinci che sì, forse è la nipote di Mubarak». In altri termini, indica «la sfiducia nei confronti della realtà e una inspiegabile facilità a gettarsi tra le braccia del complotto e del fittizio» (su Avvenire, 8 dicembre 2022).

È un esercizio quotidiano: nelle situazioni di svantaggio qualcunə dice di non ricordare — o che un fatto non è mai avvenuto (anche se ne esistono prove) — perché non riesce ad ammettere le responsabilità della sua parte. La memoria funziona come un muscolo, basta tenerla allenata. Prossimamente a Roofbook fest presento “Non siete fascisti ma” (People, 2023) con Pippo Civati. Ora è sempre Resistenza.

--

--

Sara C. Santoriello

📣 Keen on Social in Media 📰 Journalist ♀️Feminist🎙️Music and Politics 👉 @_sasaprova e t.me/sainacosa